«Stop all’austerity» è lo
slogan da anni sulla bocca di tutti: politici - al governo e all’opposizione -,
giornalisti, economisti. L’intento è sempre lo stesso: far passare il
messaggio che le misure d’austerità siano fallaci, e addirittura dannose, per
conquistare facili consensi. Risolvere la crisi sarebbe a portata di mano,
basterebbe tornare a spendere risorse pubbliche, riappropriarsi della
sovranità. Ma è davvero così? E, soprattutto, il rigore è stato realmente
applicato in questi anni in paesi come l’Italia o la Francia? Veronica De
Romanis sgombra il campo dai pregiudizi smontando tutti gli argomenti contro
l’austerità, riassumibili nei sei aggettivi che spesso l’accompagnano:
eccessiva, recessiva, imposta, ingiusta, inutile e responsabile dell’ascesa di
forze populiste. Con esempi concreti e dati alla mano, l’autrice ne mostra i
due volti. L’austerità «buona», nelle parole di Mario Draghi, «prevede meno
tasse e una spesa concentrata su investimenti e infrastrutture», fa crescere e
infatti non ha impedito ai leader che l’hanno praticata di vincere, come in
Lettonia e nel Regno Unito, o di ottenere la maggioranza dei voti, in
Portogallo e in Spagna. Quella «cattiva», al contrario, privilegia l’aumento
delle tasse a scapito di tagli della spesa improduttiva e può alimentare il
populismo. Una lettura utile per capire se l’Europa è stata davvero «rovinata
dall’austerità», come ebbe a dire Alexis Tsipras, o se questa non rappresenti
invece un’occasione per una politica che voglia combinare al meglio
responsabilità verso le nuove generazioni e solidarietà verso i soggetti più
deboli. Un passaggio necessario, soprattutto per un’economia quale quella
italiana, dove il debito dello Stato è percepito come un numero privo di
significato, ma è invece una pesante ipoteca sul futuro dei giovani.